Villa Martini
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Sorge in una piacevole località di mezza montagna, dove fra ‘800 e ‘900 era solita villeggiare l’alta borghesia torinese, come anche l’ing. Gribodo con la famiglia, ed è una delle sue più compiute e armoniose realizzazioni, archetipo per i diversi villini e palazzine che avrebbe poi progettato nel capoluogo subalpino. Stupisce quindi la sua tardiva riscoperta e l’assenza di ricerche per documentarne la data di costruzione. Determinante è stata l’indagine sui registri delle “mutazioni”, dove si legge che nel dicembre 1902 il commerciante torinese Antonio Martini acquistava da Prudente Allais un prato per costruirvi una casa di villeggiatura. Nel gennaio 1904 l’edificazione era quasi conclusa, come informa l’atto di acquisto di altri terreni, stipulato sempre dal Martini per accogliere le dipendenze e l’ampio parco montano. Non appare allora plausibile quanto riporta uno dei primi volumi sul Liberty italiano, che data al 1901 la sala da pranzo disegnata da Gribodo per questa villa. Il medesimo arredo era stato pubblicato nel 1911 sul periodico «Per l’arte», senza legarlo alla «palazzina con quattro stanze al piano sotterraneo, tre al piano terra, quattro al primo piano», cui erano annessi «casetta per la servitù, stalla-fienile e rimessa, giardino coltivato, orto, frutteto e prato».
La contestuale progettazione di edificio, ornato, apparati funzionali e arredo interno s’identificava in fattiva adesione all’idea di Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale che, come ha confermato Delevoy, costituisce l’essenza stessa dell’architettura Art Nouveau, quale espressione artistica essenzialmente decorativa. In tal senso, l’impostazione generale e le inflessioni d’ascendenza franco-belga della villa inviano al villino collettivo Lauro, elogiato all’Esposizione del 1902; inedita è però la straordinaria coesione tra costruito e parco-giardino, che si riflette nell’originale apparato di ferri lavorati, getti in pietra artificiale con inserti in smalto azzurro, battenti in legno scolpito, fiori e varie essenze vegetali graffite, esito di progressive stilizzazioni a lungo e profondamente meditate da Gribodo, studioso di scienze naturali ed entomologo di fama internazionale. Docente di geometria descrittiva, egli ha inoltre abilmente sfruttato la posizione leggermente soprelevata della villa per slanciarne visivamente la volumetria, mentre l’instancabile moto danzante dei ferri lavorati delle cancellate asimmetriche e della recinzione concorre a fare del complesso una delle più coerenti espressioni Art Nouveau della provincia torinese. M. Grazia Imarisio
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