Quando Roma fu proclamata capitale d’Italia, la città attraversò un periodo di profonda trasformazione. Se da un lato il nuovo ceto borghese e il capitalismo si affermavano, dall’altro, le forze sociali più conservatrici, come l’influenza del clero, non permisero una completa sostituzione dell’assetto preesistente. Invece, il nuovo e il vecchio si intrecciarono, dando vita a un processo di cambiamento che avveniva lentamente, tra resistenze e adattamenti.
Con l’inizio del nuovo secolo e l’era giolittiana, una nuova borghesia imprenditoriale e intellettuale emerse, accompagnata da un movimento di democrazia radicale e popolare. Questo fu il periodo dell’amministrazione Nathan e del Blocco Popolare del 1907, quando Roma si preparava a riscrivere il proprio futuro sotto l’insegna di nuovi ideali.
Tuttavia, l’arrivo del Liberty, pur essendo un movimento europeo di rinnovamento artistico, non trovò a Roma un terreno facile su cui radicarsi. La città, ricca di tradizioni culturali e monumentali, non accolse immediatamente l’Art Nouveau. La rottura con il passato, tanto promossa dai teorici della “nuova arte”, non era ben vista da molti, soprattutto da chi vedeva il patrimonio monumentale come un’ispirazione per la cultura e l’educazione. Invece, la rivendicazione di libertà e bellezza si adattò ai valori locali, in particolare al concetto di “artista educatore del gusto”, che rispecchiava gli ideali di Nathan per una Roma progressista e democratica.
Nel campo dell’architettura, la resistenza alla modernità si rifletteva nella persistenza dello stile eclettico, mentre l’Art Nouveau si manifestava solo in pochi edifici, seppur con riserve. I piani regolatori che cercavano di definire l’espansione della città, come quello del 1873 di Viviani, si scontrarono con la speculazione edilizia e con la scarsità di risorse destinate a migliorare la qualità urbana. Il processo di industrializzazione fu volutamente rallentato dalla politica, con l’intenzione di non fare concorrenza alle industrie del nord e per evitare la nascita di un proletariato organizzato. Di conseguenza, Roma non divenne mai una città moderna, ma rimase una capitale speculativa, dominata da gruppi finanziari e aristocratici legati al Vaticano.
Seppur osteggiato da forze conservative, il movimento Liberty riuscì comunque a emergere attraverso il lavoro di alcuni intellettuali e artisti, che, pur non accettando pienamente le teorie radicali dell’Art Nouveau, cercarono di conciliare il rinnovamento con la tradizione. I teorici come Angeli, Marcucci e Menasci indirizzarono la nuova borghesia verso un estetismo che promuoveva il buon gusto e la sobrietà, in sintonia con i principi della “terza Roma”, un ideale di città democratica e progressista.
Nel panorama urbanistico, i piani regolatori di Roma erano considerati inefficaci. Non solo venivano dettati da interessi privati, ma anche disattesi. Il piano Viviani del 1873, per esempio, prevedeva l’espansione della città verso la stazione e la creazione di aree residenziali, ma fu ostacolato dalle speculazioni immobiliari. L’assenza di un piano coerente e la continua speculazione edilizia portarono alla crisi economica e al fallimento di molte imprese. In questo contesto, le forze politiche dominanti – tra cui il clero e la borghesia conservatrice – mantennero il controllo, ostacolando il rinnovamento urbano e sociale.
Alla fine del secolo, l’architettura romana si trovava in una situazione di stasi, dominata dall’eclettismo e dal revivalismo. L’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura, nata per contrastare l’affermarsi di stili estranei alla tradizione, cercò di promuovere una visione culturale incentrata sulla conservazione dei monumenti e sull’importanza di un’architettura che riflettesse la storia di Roma. Tuttavia, il movimento non riuscì a imprimere una svolta radicale nella città, che continuò a essere dominata dalla speculazione edilizia e da un’economia stagnante.
Il Liberty romano, pur cercando di rispondere alle necessità di modernità e di decoro urbano, non riuscì mai a imporsi completamente. Tra tradizione e innovazione, Roma visse un periodo di transizione che, seppur ricco di spunti interessanti, non riuscì a realizzare una vera rivoluzione architettonica e sociale. Nel nuovo secolo, il tema della casa divenne centrale, con il piano regolatore del 1909 che cercò di correggere gli errori del passato e di garantire un’espansione più ordinata e rispettosa delle necessità abitative. Tuttavia, anche in questo campo, la sfida tra modernità e tradizione rimase irrisolta, con il Liberty che si adattò alle peculiarità della capitale senza mai riuscire a imporsi in modo definitivo.