LOMBARDIA CAPITALE DEL LIBERTY. Caratteristiche e diffusione

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25 Giu

Il movimento Liberty in Lombardia si manifesta in una varietà di forme stilistiche, sebbene, a differenza di altre aree, non sia caratterizzato dalla tipica connotazione Art Nouveau, un aspetto dello stile che in Italia ha avuto una limitata diffusione e applicazione. Inoltre, in Lombardia, sotto la predominanza della personalità di Sommaruga, non si osserva un’incorporazione adeguata dei modelli torinesi di D’Aronco (presentati nell’esposizione del 1902) e Fenoglio. Il fenomeno, in Lombardia, è prevalentemente legato alla vasta gamma delle “situazioni” moderniste, nelle quali la volontà di creare un linguaggio nuovo e antiaccademico non implica necessariamente una completa adesione al Liberty, se non sono presenti gli elementi morfologici distintivi che lo definiscono.

È fondamentale evitare di identificare ogni sperimentazione architettonica, edilizia o urbanistica come una risposta consapevole ed espressiva agli stimoli modernisti. Non si tratta, infatti, di un fenomeno circoscritto a eventi specifici o a mode passeggerie, ma piuttosto di un processo di assimilazione e adattamento delle problematiche legate al “nuovo stile”, con diverse modalità e spesso autonome, e dei tentativi di risolverle.

Il Liberty lombardo si manifesta in contesti differenti: in primo luogo, nei grandi palazzi urbani, che simboleggiano il potere e la classe della borghesia illuminata, come il Palazzo Castiglioni di Milano. Si evidenziano anche le ville, che spaziano da quelle sontuose che rielaborano la tradizione della residenza vacanziera settecentesca, come nel caso della villa di Giuseppe Faccanoni a Sarnico, fino ai villini medio-borghesi, sia in contesti extraurbani che urbani. In questi ultimi, le abitazioni servono come residenze familiari o di due famiglie, con numerosi esempi disseminati tra la Val d’Intelvi e la Lomellina, fino ad arrivare all’Emilia.

Inoltre, sono presenti esempi significativi di edilizia minore destinata ai ceti impiegatizi e popolari, che si sviluppa nelle grandi città e in alcuni centri minori come Voghera. Questi esempi rappresentano un campo di studio rilevante per esaminare l’incontro e la convergenza (o divergenza) tra gli interessi imprenditoriali e la coscienza sociale, e sono inseriti nel contesto urbanistico delle nostre città. Nonostante la difficoltà di infrangere i modelli legati al “decoro monumentale” e alla rigorosa distinzione dei ceti, l’edilizia popolare si sforza di creare abitazioni per i proletari, evidenziando un impegno, talvolta moralistico, per un’architettura civile.

In Lombardia, inoltre, si verifica un’interessante connessione tra il Liberty e l’edilizia industriale, con esempi significativi come lo stabilimento della birra Poretti a Induno Olona e la centrale idroelettrica di Trezzo d’Adda. Si nota anche una stretta relazione tra il Liberty e l’edilizia commerciale, soprattutto a Milano. L’architettura Liberty si presenta come uno stile al servizio sia delle vacanze agiate sia delle imprese tecnico-produttive, come testimoniano i complessi termali, come quello di S. Pellegrino, e i cimiteri monumentali, che simboleggiano l’affermazione dei miti positivi borghesi. Sebbene molti degli edifici più significativi siano destinati ad uso privato, a causa delle difficoltà di accettazione delle audacie stilistiche, non mancano progetti per edifici pubblici, come stazioni ferroviarie e tramviarie, impianti sportivi e alberghi, tutti orientati verso una clientela evoluta e culturalmente aggiornata.

L’estensione e la varietà del Liberty lombardo compensano il livello, complessivamente modesto, della produzione architettonica. In molte aree della Lombardia, come in altre regioni italiane, il fenomeno è stato talvolta influenzato da piccole vanità e snobismi da parte di progettisti che imitano l’architettura d’autore senza una vera consapevolezza critica dello stile. Tuttavia, questa mancanza di profondità concettuale è in parte riscattata dalla qualità degli apparati decorativi, come i ferri battuti, in cui la Lombardia ha una tradizione secolare, e dai cementi modellati, che sfruttano una sensibilità plastico-scultorea diffusa nella regione, sviluppata anche grazie alla Scapigliatura. Questi elementi decorativi, spesso di matrice naturalistica e ottocentesca, vengono reinterpretati con nuovi effetti grazie all’utilizzo di materiali moderni come il cemento.

La diffusione capillare del Liberty in Lombardia ha reso difficile un censimento completo e esaustivo del fenomeno. Milano rappresenta il centro principale, ma esempi significativi si trovano anche in altre città lombarde, come Bergamo, Busto Arsizio e Varese. Sebbene la selezione degli esempi più rappresentativi sia stata complessa a causa della grande quantità di produzione, spesso di qualità inferiore, essa non si limita a documentare uno stile, ma offre uno spunto per comprendere meglio una cultura che si esprime attraverso il Liberty, un simbolo di un’epoca in trasformazione.

Nei primi anni del secolo, Busto Arsizio conobbe un periodo di intenso e variegato sviluppo. Fu un’epoca in cui l’Amministrazione Comunale intraprese la realizzazione del suo primo Piano Regolatore, e in cui si decise la costruzione di tre edifici scolastici per una popolazione che, secondo il censimento del 1901, ammontava a 31.358 abitanti. Una delle principali forze trainanti di questo sviluppo fu l’apertura dei mercati del Sud America, che consentì alle industrie bustesi di compiere un significativo salto di qualità, grazie anche all’elettrificazione dei macchinari, avvenuta proprio in quegli anni.

Nel settore edilizio, accanto alle opere pubbliche commissionate a Camillo Crespi Balbi, come le scuole Carducci e Manzoni, il macello, l’ospedale, e la sede della Banca del Piccolo Credito Bustese, progettata da Luca Beltrami, si sviluppò una fervente attività costruttiva che si connotò per uno stile distintivo, definito “bustese”. Un interprete ideale di questa produzione fu l’architetto Silvio Gambini (Teramo, 1877 – Busto Arsizio, 1948). La mostra tenutasi a Busto Arsizio nel 1976 ha messo in evidenza la ricca e variegata produzione di Gambini, le cui opere si caratterizzano per schizzi e disegni di alta qualità, che riflettono l’influenza degli stimoli più significativi dell’epoca, tra cui le opere di Basile, Sommaruga e Arata, e le influenze straniere, come quelle degli scozzesi, di Berlage e della scuola viennese della Secessione, oltre alla scuola di Darmstadt. La sua evoluzione stilistica si orientò progressivamente verso il déco, un approccio che divenne sempre più evidente nel corso del suo lavoro.

Nonostante l’intensa e recente espansione edilizia di Busto Arsizio, che ha minacciato alcune delle opere più rappresentative di Gambini, si sono perse due delle sue realizzazioni più significative, ossia la Casa Rena in piazza Garibaldi e la villa Bossi in via Pellico, quest’ultima gravemente privata di ogni apparato decorativo. Tuttavia, l’architettura liberty a Busto Arsizio aveva avuto già un inizio clamoroso nel 1902, con l’installazione dei raffinati ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli per le ville Ottolini in via Volta, e continuava a manifestarsi in ambito cimiteriale, con cappelle di notevole interesse, come la cappella Bossi, progettata da Alfredo Menni, o la cappella Vitali, decorata con un magnifico bassorilievo di Alessandro Laforet, sebbene quest’ultimo fosse tardo e ancora inedito.

Il periodo del Liberty a Busto Arsizio rappresenta, quindi, un capitolo significativo nella storia dell’architettura lombarda, con un’impronta ben definita, che ha avuto il merito di reinterpretare in chiave locale le tendenze internazionali, mescolando innovazione stilistica e radicamento territoriale.

Agli inizi del secolo XX, Gallarate si distingueva per due caratteristiche principali. Da un lato, vi era ancora un legame piuttosto anacronistico ma tuttavia persistente con lo stile di Camillo Boito, noto per le sue opere come il Cimitero (1865), l’Ospedale (1871) e la facciata della Chiesa Parrocchiale. Dall’altro, la città mancava di uno stimolo urbanistico fondamentale, come un piano regolatore, che potesse orientare lo sviluppo edilizio in maniera più organica e innovativa. Nonostante queste limitazioni, il Liberty riuscì a trovare un interprete significativo nella figura di Carlo Moroni (Montonate, 1872 – Gallarate, 1962), che si distinse come uno dei principali esponenti di questo stile nella zona.

Moroni, diplomatosi perito agrimensore nel 1893, svolse la sua attività in diverse regioni, tra cui Piemonte (Novara, Alessandria) e Bergamasco, ma trovò la sua principale espressione nel contado gallaratese, dove lavorò spesso in collaborazione con l’ingegnere Filippo Tenconi. I due condividevano uno studio professionale situato in via XX Settembre. Moroni divenne architetto nel 1928, in seguito alla legge n. 1395 del 24 giugno 1923, e realizzò alcune delle opere più significative della città, tra cui l’interessante complesso della Manifattura Borgomaneri, situato tra il fiume Arno e Piazza Risorgimento. Tra le sue altre opere, si annoverano numerose ville padronali, tra cui la Villa Bossi e la Villa Cagnola, tutte attribuibili a Moroni per analogia con altre residenze di prestigio da lui progettate, come le Ville Borgomaneri e Tadini, quest’ultima a Bergamo, progettata intorno al 1908.

Accanto a queste architetture spettacolari commissionate dai principali industriali gallaratesi, la città ospitava anche numerosi edifici di tipo borghese. A differenza di Busto Arsizio, città limitrofa, Gallarate conserva anche esempi di edilizia residenziale più modesta, con case d’affitto per la piccola borghesia e i ceti popolari, come la serie di edifici situati in via R. Fücini (3/17), che si distingue per l’interessante qualità progettuale.

Anche in ambito cimiteriale, la produzione Liberty a Gallarate è stata particolarmente ricca e di notevole interesse. Accanto a monumenti firmati da importanti scultori come Pellini e Wildt, vi sono numerose cappelle, tra cui quelle Monti, Pastorelli, Galdabini e Serra-Borgomaneri, quest’ultima attribuibile senza dubbio a Moroni. Queste opere testimoniano l’influenza dello stile Liberty anche nelle pratiche funerarie, dove si fondero elementi decorativi di grande raffinatezza con una solida tradizione locale.

Il Liberty continuò a influenzare l’architettura di Gallarate anche dopo il 1915, sebbene si manifestasse in costruzioni che non evolverono significativamente, privandosi di nuove variazioni stilistiche apprezzabili. Di particolare interesse è, tuttavia, la proposta di Stacchini e Gaetano Moretti, che tentarono un richiamo al Medioevo nell’architettura, un elemento che, nel contesto dell’epoca, risultava piuttosto retrivo e distante dalle istanze innovative del periodo.

In sintesi, l’architettura Liberty a Gallarate rappresenta un importante capitolo nel panorama lombardo, con un’interessante intersezione di tradizione e modernità. Pur non essendo una città che visse una rapida evoluzione come altre realtà urbane più grandi, Gallarate conserva oggi numerosi esempi di questa corrente stilistica, che sono testimoni di un periodo di transizione verso la modernità, pur mantenendo un forte legame con le radici storiche e culturali del territorio.

Milano, tra tutte le città italiane, si distingue per essere stata la più studiata e documentata nella sua architettura liberty. A partire dalla Mostra del 1972, promossa dal Centro Pirelli (intitolata Architettura liberty a Milano e curata da R. Bossaglia e D. Riva), e proseguendo con i contributi degli anni successivi (come quelli di Salvadé-Frizzi e Bairati-Riva nel 1985), la città ha visto un continuo approfondimento delle sue opere più significative. Questo panorama ha portato alla creazione di un’indagine stilisticamente motivata e rigorosa, che si integra con un ampio resoconto delle acquisizioni filologiche e delle fonti documentarie.

Milano ospita alcuni degli edifici più rappresentativi e simbolici del Liberty italiano. Tra questi, il Palazzo Castiglioni, situato in Corso Venezia 47, progettato da Giuseppe Sommaruga, è senza dubbio il più importante e emblematico. Questo edificio rappresenta un punto di riferimento per lo stile Liberty in Italia e una delle realizzazioni più riuscite dell’architetto. Accanto a questo, si trovano altri esempi di rilievo, come i quartieri residenziali con forti connotazioni liberty, in particolare la zona Monforte, con le case progettate da Campanini in via Bellini e da Arata in via Cappuccini, nonché la zona Magenta. In quest’area si trova una civile sequenza di costruzioni medio e alto-borghesi realizzate da architetti come Ulisse Stacchini e Alfredo Menni, tra gli altri. Questi edifici giungono fino alla zona dell’attuale Fiera di Milano, dove spicca la stupefacente Villa Romeo, progettata anch’essa da Sommaruga e oggi trasformata nella Clinica Columbus.

Il Liberty milanese si estende lungo i principali viali anulari della città, in particolare nella zona tra Viale Piave e Porta Venezia, con una serie di case progettate da G. Bättista Bossi e una campionatura di edifici che seguono le varianti principali dello stile, realizzati da un Istituto immobiliare in via Pisacane. Procedendo verso la periferia, si possono osservare edifici di minore impegno economico e alcune costruzioni di tipo popolare, pur sempre caratterizzati dall’influenza dello stile Liberty.

Anche nel cuore del centro storico di Milano, sebbene in maniera più limitata, si trovano esempi di architettura Liberty. Tra questi, il Trianon di Angelo Cattaneo, oggi conservato nella sola facciata e applicato su un edificio nuovo in Piazza del Liberty, e il Teatro Filodrammatici in Piazza Ferrari di Oreste Giachi. Un altro esempio notevole è la bella casa di Ernesto Pirovano in via Spadari, caratterizzata da eleganti ferri battuti di Mazzucotelli.

Infine, Milano conserva la Stazione Centrale delle ferrovie, realizzata nel 1931, secondo il progetto di Stacchini, che riflette un gusto tardo-liberty, ormai vicino al periodo del razionalismo, ma ancora riconoscibile nelle sue linee e dettagli decorativi.

Per un approfondimento completo, si rimanda all’indirizzario che segue, preparato da Daniele Riva, che include una revisione accurata del materiale relativo all’architettura Liberty di Milano. La sigla “O.F.” si riferisce al fondo “Ornato Fabbriche” dell’Archivio Edile del Comune di Milano, che conserva i dati archivistici più dettagliati riguardanti le opere realizzate in questo stile.

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